Il Tribunale ordinario di Firenze ha condannato al risarcimento danni il chirurgo, dott. Lu.Do., per non aver esattamente informato la paziente Ag.Lo. in occasione dell’intervento chirurgico dal medesimo effettuato in data 7.11.2002 e di quelli successivi, di tutti i rischi, i risultati conseguibili, le possibili conseguenze negative, la possibilità che si rendessero necessari interventi e i rischi di questi ultimi e per aver male eseguito, per imperizia, imprudenza o negligenza, sulla sig.ra Ag.Lo. l’intervento di mastoplastica addittiva al quale la stessa si era sottoposta per finalità puramente estetiche che, non solo non ha apportato alcun miglioramento estetico nella paziente, ma, addirittura, ne ha peggiorato irreversibilmente le condizioni causando profonde cicatrici.

Il medico è stato inoltre ritenuto inadempiente rispetto all’obbligo di aver garantito alla paziente, come risultato certo dell’intervento, un seno turgido, esattamente collocato, in altre parole perfetto, senza asimmetrie e, inoltre, per aver, come conseguenza della esecuzione errata del primo intervento, costretto l’attrice a subire, nel tentativo di correggere gli errori, altri due interventi, per mano dello stesso, anch’essi non riusciti e, infine, un nuovo intervento, a cura di altro chirurgo.

La corte ha condannato il dr. Lu.Do. al risarcimento di tutti i danni subiti e quantificati in complessivi Euro 50.000 o in quella somma che risulterà accertata in corso di causa, con interessi e rivalutazione monetaria, più spese processuali.

Il caso:

La paziente, nel settembre dell’anno 2002, aveva contattato il dott. Do.Lu. quale esperto chirurgo estetico, per sottoporsi ad un intervento di blefaroplastica superiore, prendendo, in quella stessa occasione, anche un appuntamento per la visita del caso, presso lo studio del chirurgo; questi, all’esito della visita, confermò la “opportunità dell’intervento di inserimento delle protesi” per rinvigorire l’aspetto del seno, senza tuttavia indicare quale tipo di protesi avrebbe inserito, quale tecnica chirurgica avrebbe adottato e quali rischi avrebbe potuto correre la paziente, assicurandole il buon esito sulla base del fatto che si trattava di un intervento semplice da eseguire.

L’intervento di blefaroplastica superiore e di mastoplastica additiva con mastopessi vennero eseguiti il 7.11.2002 presso la Casa di Cura di Firenze, previa sottoscrizione del modulo di “prestazione del consenso informato”.Poiché l’esito dell’intervento fu negativo il dott. Do. consigliò a Ag. un nuovo intervento per correggere la marcata asimmetria del seno sinistro e per correggere anche gli esiti della blefaroplastica superiore; il secondo intervento venne eseguito il 3.5.2003, ma questo NON migliorò l’aspetto del seno né rese meno evidenti le cicatrici, per cui Ag. si sottopose ad un terzo intervento in data 29.1.2004. Nonostante i tre interventi e l’inserimento delle protesi tuttavia i seni non erano ‘turgidi’ come richiesto così, per ovviare alla situazione, la paziente si era rivolta ad altri professionisti che hanno rilevato l‘errata tecnica chirurgica adottata da Do.

La donna si è così sottoposta ad un quarto intervento risolutivo a Roma, facendolo precedere dall’accertamento di istruzione preventiva presso il Tribunale di Firenze e chiedendo poi il risarcimento dei dannicomplessivamente subiti nei riguardi del chirurgo resosi responsabile:

-della violazione dell’obbligo di fornire al paziente un consenso informato, atteso che la modulistica che sottoscrisse le venne mostrata appena pochi minuti prima dell’intervento;

-per inadempimento rispetto all’obbligazione contrattuale assunta di effettuare l’intervento di mastoplastica additiva che, in quanto tale, configura un obbligazione di “risultato”

– per non aver informato adeguatamente la paziente dei rischi connessi all’esecuzione dell’intervento al seno

Il fatto che nel modulo sottoscritto da Ag. prima dell’intervento era stato precisato che “l’intervento non è esente da complicazioni e che le più frequenti complicazioni sono state illustrate… benché siano previsti buoni risultati, questi non possono essere garantiti né in maniera diretta né indiretta, né possono escludersi a priori complicanze peggiorative dello stato attuale” non è sufficiente a ritenere che il consenso sia stato dato correttamente.

Oltre a ciò l’accusa ha sottolineato che sussisteva il nesso causale tra i plurimi interventi chirurgici e le lamentate disarmonie ed imperfezioni successivamente riscontrate che sono state emendate solo a seguito del 4° intervento eseguito da altro professionista. Quindi, non solo non vi è stato il raggiungimento di quanto in fase pre operatoria prospettatole e garantitole, ma addirittura un evidente peggioramento sia dal punto di vista psichico che fisico, che estetico.

Con riferimento al profilo di inadempienza sollevata da parte attrice per “la inidonea iniziale tecnica operatoria di mastopessi” prescelta dal dott. Do. (alcuna contestazione difatti è stata mossa con riferimento alla blefaroplastica), il C.T.U. ha escluso la colpa specifica dell’imperizia ma ha contemporaneamente ritenuto “che gli effetti negativi” (anche se li ha considerati come un risultato “impredicibile”) non siano stati emendati dal secondo e dal terzo intervento effettuati dal dott. Do., per cui si può muovere un giudizio di responsabilità di inadempienza professionale a quest’ultimo, specie se si considera che era stato garantito un miglioramento delle condizioni del seno. L’obbligazione gravante sul chirurgo plastico non è quella infatti di fornire le cure ma è piuttosto volta al miglioramento delle imperfezioni meramente estetiche della persona; è evidente come questa disciplina chirurgica ben si presti ad essere considerata maggiormente come fonte di un’obbligazione di risultato, piuttosto che di mezzi, poiché, nel momento in cui il paziente si sottopone ad un intervento chirurgico, lo fa in vista di un determinato risultato estetico e non certo per ottenere dal medico solo la rassicurazione che farà il possibile per raggiungerlo. L’orientamento della Giurisprudenza non è stato affatto univoco, perché vi è stata altra posizione che ha qualificato l’obbligazione del chirurgo estetico come obbligazione di mezzi (Cass. 12253/1997), recependo in tal modo un’istanza di carattere sociale per la quale la disciplina chirurgica estetica ha una valenza curativa e non solo cosmetica (v. la più recente giurisprudenza di merito: in particolare, Tribunale di Bari n. 1780 del 23.5.2011).

Attualmente il problema della responsabilità del chirurgo estetico si basa essenzialmente sulla problematica del “consenso informato” reso dal paziente, atteso che tutte le prestazioni medico chirurgiche rientrano nelle obbligazioni di mezzi (orientamento già adottato dalla Suprema Corte a S.U. con la sentenza n. 577/2008, per il quale non si esige che il paziente guarisca ma che il medico si impegni per la sua guarigione o, quantomeno al miglioramento delle condizioni dello stesso). Alla luce di ciò, in adempimento al proprio dovere di informare correttamente il paziente, e a tutela del consenso e della salute di quest’ultimo, il chirurgo plastico (ovvero estetico) ha l’onere di tratteggiare in modo dettagliato il risultato che intende raggiungere a seguito dell’operazione, le modalità dell’intervento e di prospettare realisticamente i rischi e le possibili conseguenze pregiudizievoli connesse all’intervento. Se è vero che il paziente ha l’onere di prestare la dovuta attenzione alle informazioni che gli vengono fornite, al fine di valutare l’opportunità di sottoporsi all’intervento, di cui andrà ad assumere consapevolmente il rischio prospettato dallo specialista, nell’esercizio della propria autonomia privata. È “ onere del chirurgo, prima di procedere a un’operazione, alfine di ottenere un valido consenso del paziente, specie in caso di chirurgia estetica, informare questi dell’effettiva portata dell’intervento, degli effetti conseguibili, delle inevitabili difficoltà, delle eventuali complicazioni, dei prevedibili rischi coinvolgenti probabilità di esito infausto” (sul punto si veda Corte di Cassazione, n. 22327/2007 e Corte di Cassazione n. 9705/1997). La qualità di tale informazione, nel caso di specie, non è stata garantita, poiché non è affatto prospettata nel modulo la possibilità – anche statisticamente molto probabile – che si potesse manifestare, come conseguenza dell’intervento, una contrattura capsulare preprotesica tale da determinare la migrazione delle protesi verso l’alto, in modo da lasciare flaccida la parte sottostante del seno, né che potessero verificarsi le asimmetrie tra le due mammelle che avrebbero comportato la possibilità che i capezzoli si sarebbero rivolti verso il basso.

È ancora pacifico nella giurisprudenza della Suprema Corte il principio che la responsabilità del medico (ma anche dell’ente ospedaliero) per inesatto adempimento della sua prestazione ha natura contrattuale: da ciò consegue l’applicazione del regime proprio di questo tipo di responsabilità, specie con riferimento alla prescrizione e alla ripartizione dell’onere della prova, ai principi delle obbligazioni da contratto d’opera intellettuale relativamente alla diligenza e al grado della colpa e alla prescrizione ordinaria.

Sotto il profilo probatorio il paziente danneggiato ha l’onere di allegare e di provare l’esistenza del rapporto di cura, il danno ed il nesso causale, mentre è il medico che deve dimostrare che l’insuccesso, rispetto a quanto concordato o ragionevolmente attendibile, è dipeso da causa a sé non imputabile (Cass. 6.10.2014 n. 21021; Cass. 9.10.2012 n. 17143, Tribunale di Firenze 21.11.2012).

Quando ad un intervento di chirurgia estetica consegua un inestetismo più grave di quello che si mirava ad eliminare o ad attenuare, all’accertamento che di tale possibile esito il paziente non era stato compiutamente e scrupolosamente informato consegue, ordinariamente, la responsabilità del medico per il danno derivatone, quand’anche l’intervento sia stato correttamente eseguito. La particolarità del risultato perseguito dal paziente e la sua normale non declinabilità in termini di tutela della salute consentono infatti di presumere che il consenso non sarebbe stato prestato se l’informazione fosse stata offerta e rendono pertanto superfluo l’accertamento, invece necessario, quando l’intervento sia volto alla tutela della salute e la stessa risulti pregiudicata da un intervento pur necessario e correttamente eseguito, sulle determinazioni cui il paziente sarebbe addivenuto se dei possibili rischi fosse stato informato.

Tale profilo assume una consistenza peculiare nel caso dell’intervento di chirurgia estetica, in relazione al quale il paziente deve essere informato anche dello specifico rischio del peggioramento del proprio aspetto (Cass. Civ., Sez. III, 12830/2014).

Il consenso deve possedere i seguenti requisiti, sanciti dalle diverse pronunce della Corte di legittimità: deve essere sempre “completo” ed “effettivo”; deve provenire dal paziente in modo “specifico ed esplicito”; deve essere, nei limiti del possibile, “attuale” e “informato”, ovvero consapevole, dovendo basarsi su informazioni dettagliate fornite dal medico, sul quale, a fronte di un’eventuale allegazione di inadempimento da parte del paziente, incombe l’onere di provare di avere adempiuto tale obbligazione. Quanto alle modalità dell’informazione, la giurisprudenza ha avuto modo diverse volte di ribadire che la stessa deve sostanziarsi in spiegazioni dettagliate e complete, adeguate al livello culturale del paziente, con l’adozione di un linguaggio che tenga conto del suo stato soggettivo e del bagaglio di conoscenze di cui dispone, in grado di informare sui possibili effetti negativi di una terapia o di un trattamento chirurgico, sulle possibili controindicazioni e sulla gravità degli effetti (Cass. Pen. n. 37077/2008) non potendo bastare le indicazioni su un modulo prestampato e una firma, ma occorrendo invece un colloquio del medico con il paziente (cfr. ex multis, Cass. n. 19220/2013).

Per tutti i suddetti motivi il chirurgo è stato condannato al pagamento in favore della paziente a titolo di risarcimento del danno della somma di Euro 26.868,00, oltre agli interessi legali dalla data di deposito della presente sentenza al saldo.

(Tribunale di Firenze – Sez. II civile – Sentenza 11 febbraio 2015 n. 452)